Pomodorino del Piennolo del Vesuvio

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Pomodorino del piennolo

Pomodorino del piennolo

Arrivato, com’è noto, dalla lontana America, il pomodoro ha trovato nel Napoletano il suo habitat ideale, prosperando ed evolvendosi verso specie domestiche sempre più pregiate. Insomma, la sua coltivazione è divenuta una vera e propria arte e la tradizionalità di questa produzione sin dal XVIII secolo è documentata da numerose fonti bibliografìche nonché dall’abitudine di riprodurre i pomodorini fra gli ortaggi del presepe. Ai Napoletani, per giunta, va riconosciuto il merito di aver introdotto Fuso del pomodoro nella cucina italiana e, tramite l’industria conserviera, di averlo diffuso un po’ ovunque.

 Una delle varietà locali più pregiata e caratteristica la troviamo nella zona del Parco Nazionale del Vesuvio: si tratta dei rinomati Pomodorini Vesuviani da serbo localmente detti “del Piennolo” (ovvero “del Pendolo”). Nel comprensorio dei comuni alle pendici del Vesuvio, coltivato su piccoli appezzamenti tra i 150 e i 450 metri sul livello del mare, in assenza di irrigazione, il Pomodorino Vesuviano trae i massimi benefici dal terreno vulcanico e da un sole quanto mai generoso. Anche il suo colore “ardente” è un regalo del vulcano, tanto che secondo gli anziani le radici dei pomodorini si nutrono della lava stessa del Vesuvio. Il resto lo fanno le premurose cure di agricoltori attenti a mantenere intatte le tecniche tradizionali che prevedono, tra l’altro, l’ausilio di sostegni con paletti di legno e filo di ferro, in modo da evitare che le bacche tocchino terra e per far si che i frutti, ricevendo i raggi solari uniformemente, possano colorarsi in maniera adeguata. I frutti, del peso poco superiore ai 20 grammi, sono di forma tondeggiante leggermente pruniforme, con un peculiare piccolo pizzo all’estremità inferiore e delle depressioni sull’altra estremità. La buccia è spessa, la polpa soda e compatta dal sapore dolce-acidulo delizioso ed inconfondibile dovuto alla particolare concentrazione di zuccheri e sali minerali.

La conservazione tipica di questi pomodorini è in “piennoli”: i grappoli interi, detti “schiocche”, raccolti tra luglio e agosto prima della loro completa maturazione, vengono sistemati su un filo di canapa, legato a cerchio, arrivando a comporre un unico grande grappolo di diversi chilogrammi che verrà mantenuto sospeso da terra in luoghi ben asciutti e ventilati. Sistema questo, che, favorendo una lenta maturazione, consente di avere “oro rosso fresco” fino alla primavera seguente all’anno della coltivazione. La lunga naturale conservazione è dovuta al fatto che le piante sono coltivate “in asciutta” e alla buccia piuttosto spessa che limita la disidratazione del frutto. Dal piennolo è possibile “attingere” cogliendo i singoli pomodorini che diventano così un ingrediente essenziale di tanti piatti tipici napoletani, regalano un tocco inconfondibile alla pizza, alle bruschette, agli spaghetti, alle salse, agli intingoli a base di pesce e a mille altre ricette.

Le famiglie vesuviane, inoltre, erano solite preparare le classiche “bottiglie di pomodoro” dopo averlo passato al setaccio o introdotto nei contenitori a filetti (“pacchetelle”). Sia il metodo di coltivazione tradizionale in appezzamenti spesso impervi sia la particolare lavorazione post-raccolta richiedono una grossa disponibilità di manodopera: voce che fa lievitare i costi di produzione, già di per sé elevati a causa delle basse rese riconducibili alla mancanza di irrigazione. Si giustifica così la graduale riduzione delle superfici coltivate, da attribuire anche al mancato ricambio generazionale dopo l’uscita di scena dei coltivatori più anziani. Si auspica pertanto un’inversione di tendenza che potrebbe essere innescata dall’arrivo della Dop. Per richiedere l’ambito riconoscimento comunitario si è costituito un comitato promotore, formato da giovani agricoltori e supportato dall’Ente Parco Nazionale del Vesuvio che ha manifestato su più fronti il proprio impegno in vista di uno sviluppo integrato del territorio.

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