Pastori e Presepi Napoletani a San Gregorio Armeno

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Sempre viva l’attenzione sui pastori ed i presepi di San Gregorio Armeno. In un angolo di Napoli si respira l’atmosfera del Natale quasi per tutto l’anno.

– La “nascita” della zona di San Gregorio Armeno a Napoli e della tradizione dei presepi e dei pastori napoletani
– I colori dei pastori e dei presepi di San Gregorio Armeno
– Qualche curiosità storica su pastori e presepi
– La consacrazione definitiva dell’ arte presepiale napoletana

La “nascita” della zona di di San Gregorio Armeno a Napoli e della tradizione dei presepi e dei pastori napoletani

Quando, nel 726, un gruppo di monache basiliane si rifugiò a Napoli per sfuggire agli effetti del decreto emesso dall’ imperatore Leone II contro il culto delle immagini, nessuna di loro ebbe il sospetto che, nel portarsi appresso le reliquie di San Gregorio vescovo d’ Armenia, avrebbe contribuito a dare il nome ad una zona destinata, nel tempo, a divenire il fulcro di un certo tipo di simbolismo religioso: quello, appunto, dove non si può fare a meno di ammirare i pastori ed i presepi di San Gregorio Armeno.

Ciò non toglie che – nell’edificare una chiesa dedicata proprio a San Gregorio Armeno – sui resti del tempio di Cerere Attica – proprio quelle monache basiliane determinarono la nascita di un vivace centro di attività collegate proprio al culto delle immagini e delle reliquie.

Ai giorni d’oggi, però, le maggiori attenzioni, più che alle chiese ed ai monumenti di cui pure è ricca la zona, si rivolgono alle botteghe di artigiani che, anche ispirandosi ai soggetti che arricchiscono il presepe Cuciniello – pezzo pregiatissimo del Museo di San Martino – riproducono: pastori, scogli ed interi presepi.

Ce ne sono di tutti i tipi e di tutte le misure ed hanno un pregio: i pastori di San Gregorio Armeno, pur non essendo prodotti naturali, potrebbero fregiarsi della qualifica Doc o di quella Dop.

Un presepe di San Gregorio Armeno, infatti, è come se fosse griffato. Ed il suo valore aumenta a secondo dell’autore che lo ha allestito.

Chiunque passeggi per la suggestiva stradina – posta nel cuore di Napoli – può facilmente comprenderne il perché.

I colori dei pastori e dei presepi di San Gregorio Armeno

In botteghe senza porte o su bancarelle coloratissime pastori di ogni dimensione fanno bella mostra di sé. I più diffusi sono quelli di terracotta dipinti a mano, ma ce ne sono alcuni che sono ancora più preziosi perché vestiti con veri indumenti di stoffa, dotati di occhi di vetro, snodati ed in tutto simili a quelli che hanno reso celebre nel mondo l’arte presepiale napoletana.

Agli esemplari che si ispirano alla tradizione più rigorosa, di tanto in tanto, o di anno in anno, si alterna qualche pastore che riproduce qualche personaggio contemporaneo. Basti pensare che c’è stato il periodo in cui furoreggiava il pastore di Maradona (all’epoca degli scudetti del Napoli), poi quello di Antonio di Pietro (ai tempi di Tangentopoli), ma non è mancato spazio per il pastore che riproduceva le sembianze di personaggi politici come Bossi e Berlusconi o di indimenticati miti napoletani come Totò.

Anche questi esemplari destano curiosità, suscitano meraviglia e provocano divertimento, ma chi “corre” a San Gregorio Armeno, resta incantato a guardare i personaggi di sempre: i pastori che, da sempre conservano un posto nelle case e nei cuori di tutti gli italiani.

E’ difficile resistere alla tentazione di acquistarne qualcuno. E, d’altra parte, ce ne sono per tutte le tasche: da quelli del valore di pochi spiccioli a quelli che costano centinaia di euro.

La loro lavorazione si articola nel corso dell’intero anno. Al punto che, nel passeggiare in zona, ogni giorno sembra di respirare il clima delle feste di Natale.

Tra i tanti visitatori che si accalcano lungo la stretta viuzza, ci sono anche turisti provenienti da ogni angolo del mondo, ma San Gregorio Armeno resta una tappa obbligata soprattutto per i napoletani che non possono resistere alla tentazione di arricchire il proprio presepe con almeno qualche nuovo pastore.

A guardarla oggi sembrerebbe che questa zona sia la stessa di sempre.

L’ intenso odore di sughero e di muschio (quelli solitamente adoperati per costruire gli “scogli” e per adornarli) che penetra nelle narici non riesce a distogliere l’attenzione dalle bancarelle.

E poi, da vedere, non ci sono solo i pastori, ma ogni più piccolo particolare destinato ad abbellire i presepi. Fontane perfettamente funzionanti, forni che – grazie ad apposite illuminazioni – sembrano essere davvero accesi. E poi, ancora, case, colonne, pastori che si muovono, e canestri pieni di frutta, e miniature di ortaggi, di carni, di piatti. Di tutto ciò, insomma, che rende inimitabile ed unico il presepe di ciascuno.

Facile comprendere perché il poter vantare l’acquisto di un pastore di San Gregorio Armeno, o di un presepe di San Gregorio Armeno (presepe, naturalmente, inteso come “scoglio”) rappresenta un motivo d’orgoglio, alla stregua di quello che si prova nel dimostrare il possesso di uno status simbol.

Eppure i pastori ed i presepi napoletani, sono divenuti patrimoni popolare relativamente tardi.

Qualche curiosità storica su pastori e presepi

Inizialmente pastori e presepi venivano considerati come uno dei simboli capaci di testimoniare l’importanza, l’opulenza ed il mecenatismo di teste coronate e facoltosi appartenenti all’ aristocrazia.

Basti pensare che il primo esempio degno di memoria, probabilmente, è quello di cui fu artefice il pittore Marco Cardisco, il quale nel raffigurare una Adorazione dei Magi, diede loro le sembianze di Carlo V, Ferrante ed Alfonso d’ Aragona.

Tuttavia, non si può trascurare il fatto che l’opera appena citata, pur raffigurante un particolare presepiale, resta pur sempre un dipinto.

Per citare il caso di un presepe con dei pastori più simili a quelli che conosciamo oggi, bisogna prendere in considerazione il lavoro dei fratelli Pietro e Giovanni Alemanno che, nel 1478, realizzarono il presepe (attualmente ricco di 19 pastori lignei) che si trova nella Chiesa di San Giovanni a Carbonara di Napoli.

Tra gli esempi degni d’essere ricordati – anche se di epoche successive – figurano: il già citato Presepe Cuciniello – che si trova al Museo San Martino (al Vomero) – e prende il nome dallo scrittore che – nel 1879 – donò una raccolta formata da 180 pastori, 42 angeli, 29 animali e 339 decorazioni. Ed ancora (sempre a Napoli): il presepe di Maiolica, Giustiniani, il presepe dei Certosini, e quello del Ricciardi, il presepe della Chiesa di San Lorenzo Maggiore (realizzato dalla famosa famiglia Ferrigno). E non sono da perdere i presepi della Certosa di Santa Chiara o della Chiesa di San Domenico Maggiore.

Dopo un primo periodo, intanto, le figure lignee policrome, hanno cominciato ad alternarsi a statuine di terracotta anche grazie alla nascita dei primi artisti specializzati nella realizzazione di pastori da presepe.

Al punto da far nascere una vera e propria scuola del presepe napoletano. A questa, negli anni, diedero lustro Matteo Bottiglieri, Giuseppe Sammartino, Francesco Celebrano, Nicola Somma, Salvatore di Franco, Lorenzo Mosca, Giovan Battista Polidoro, Giuseppe Gori, Angelo Viva, Tommaso Schettini, Nicola Ingaldi cui si aggiunsero gli esperti nella realizzazione di animali e di nature morte quali: Francesco e Nicola Vassallo, Francesco Gallo, Tommaso Schettino, Carlo Amatucci, Giuseppe de Luca, Nicola Ingaldi ed altri ancora.

Ma la fattura dei pastori e gli ingombri dei presepi erano tali che solo dei veri signori potevano permettersi il lusso di commissionarli.

Basti pensare che, nel 1658, il Conte di Castrillo – all’epoca Viceré di Napoli – impegnò Michele, Aniello e Donato Perrone per realizzare un presepe arricchito dalla presenza di 192 pastori.

Diverso, invece, è il caso – molto più tardo – di Re Carlo di Borbone e dei suoi successori che – secondo una leggenda mai smentita – amavano allestire personalmente il proprio presepe con l’ausilio di architetti e scenografi.

E, sempre, nel corso degli anni, la foggia e l’ abbigliamento dei pastori ha continuato ad evolversi: cominciarono a diffondersi i primi esemplari in cartapesta e nacquero i primi magnifici esemplari con arti snodati.

La realizzazione di questi ultimi, era particolarmente complessa: le teste, di solito, erano di terracotta dipinta a mano; gli arti, invece, erano di legno, mentre il resto del corpo prendeva forma attorno ad una “anima” di filo di ferro ricoperta di stoppa. Questi “manichini” venivano poi vestiti con sete, damaschi ed abiti ricamati che finivano con l’impreziosire ancora di più ogni singolo pastore.

La consacrazione definitiva dell’ arte presepiale napoletana

Tra la fine del 1600 e l’inizio del 1700, l’arte presepiale napoletana spiccò definitivamente il volo.

Agli inizi del XVIII secolo, infatti, non c’era palazzo nobile, né abitazione della buona società borghese napoletana che non potesse vantare il suo presepe ed i suoi pastori.

Poi con il tempo la “moda” ha contagiato anche le classi più modeste fino a divenire un vero e proprio fenomeno popolare. Fino a giungere ai giorni nostri come una tradizione che non può essere trascurata.

A dispetto delle disponibilità economiche di ciascuno, in ogni caso, ogni presepe risulta unico. Ogni più piccolo particolare non ha eguali anche se tutti si articolano su tre “scene” fondamentali: quella che raffigura il Mistero della Nascita Divina, quello della Taverna (o locanda), e quello dell’annuncio ai pastori.

Sparse tra queste scene, ci sono “mille” diversi pastori: tra questi San Giuseppe, la Madonna, gli Angeli, i re Magi, sono immancabili almeno quanto “benino”, l’oste della locanda ed il “gruppo” dei clienti seduto attorno ad un tavolo imbandito

Ed immancabili sono pure gli animali: il bue e l’asino, ospitati nella grotta; quantità infinite di pecore, di agnelli e di altri animali da aia o da ovile. E poi cani, cavalli, maiali…

Questo per non considerare le case ed i particolari che rendono ancora più suggestivo ciascun presepe.

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