Il presepe della Basilica di Sant’Antonino a Sorrento

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Conosciuto anche come il “piccolo Sammartino” è considerato come un vero gioiello dell’arte presepiale napoletana. Ricco di una enorme quantità di pastori, esso è visitabile tutto l’anno

– Nelle vedute del magnifico scoglio realizzato da maestri dell’arte presepiale, spiccano i particolari ispirati alla Sorrento del settecento
– La triste, ma anche bella e rocambolesca storia del presepe della Basilica di Sant’ Antonino a Sorrento
– Le origini del presepe e dei pastori napoletani del settecento che erano ospitati nella Basilica di Sant’Antonino a Sorrento
– Il racconto di chi visse l’allestimento del presepe della Chiesa di Sant’Antonino

Tra i presepi che si possono ammirare in tutta la Penisola Sorrentina, quello della Basilica di Sant’Antonino a Sorrento, merita, sicuramente, un posto di riguardo, sia per la sua bellezza, sia per la storia, per certi versi rocambolesca, che lo accompagna.

Considerato come un vero gioiello dell’arte presepiale napoletana, questo presepe, è stato denominato “il piccolo Sammartino” per analogia a quello più noto custodito a Napoli.

Il paragone, però, ha un valore solo simbolico, dal momento che esso presenta delle caratteristiche tali da renderlo unico.

Nelle vedute del magnifico scoglio realizzato da maestri dell’arte presepiale, spiccano i particolari ispirati alla Sorrento del settecento

Il presepe ed i pastori esposti stabilmente presso la Basilica di Sant’ Antonino a Sorrento offrono un’idea così completa del fasto e della magnificenza del presepe settecentesco napoletano, che ogni paragone può essere considerato inopportuno.

Ad esso sono stati dedicati diversi studi, ma la sintesi più completa è quella intitolata “Il presepe della Basilica di Sant’Antonino a Sorrento” (scritto da Pasquale Ferraiuolo – a cura del compianto ex Rettore della stessa Basilica, Gaetano Jaccarino – arricchito con le fotografie di Nicola Longobardi e Antonio Iovine e con quelle d’archivio di Lino Fattorusso – e pubblicato a Napoli nel 1990 da Nicola Longobardi Editore).

Nella pubblicazione curata da Pasquale Ferraiuolo (accreditato storico sorrentino ed autentico esperto in tutto ciò che può essere considerato sacro a Sorrento), è contenuta, tra l’altro, una deliziosa descrizione dell’opera.

Proprio a proposito del presepe e dei pastori che si trovano nella Basilica di Sant’Antonino di Sorrento, tra l’altro, si legge: “L’attonito visitatore si trova come per incanto immerso in aspetti, modi e gusti di vita quotidiana arcaica e serena della Sorrento gentile del Settecento, tanto decantata dai suoi visitatori.

Vi si scorge con facilità la miseria e l’agiatezza, il modo di vestire dei popolani e dei commercianti, degli artigiani e dei nobili in contrasto con l’umiltà dei poveri pastori.

La mente vaga ai tempi andati, quando il ciclo della giornata era scandito dai rintocchi della campana e trascorreva semplice e felice in una cittadina operosa e quieta che si era sempre mantenuta, a causa della sua conformazione geografica, lontana dal tumulto caotico delle grandi città.

In primo piano l’immancabile oste, che offre alla vista di tutti i passanti la sua cucina, ricca di intingoli, carni, pesci, verdure e frutta; le donne nelle case intente ai loro lavori quotidiani familiari; i buongustai seduti beati davanti alla tavola imbandita, rallegrati dai cantastorie con i loro calascioni, chitarre ed altri umili strumenti a corde; l’innamorato intento a corteggiare la sua bella, mentre le comari si scambiano opinioni o intessono “nngiuci” attingendo acqua fresca dell’Atigliana dall’antica fontana di piazza Castello o Porta.

La bella e procace torronaia che, seduta sulla cassa in cui conserva il suo fragrante prodotto, offre ai passanti i suoi genuini dolci a base di miele, in bella mostra accatastati: sono torroni, marzapane, sosamielli e roccocò, lunghe collane di nocelle abbrustolite o “castagne del monaco” nelle tradizionali “nzerte”, il tutto posto in bell’evidenzia sulla “bancarella” ricoperta dal tradizionale lenzuolo bianco come ancora oggi possiamo ammirare in qualche festa paesana; oppure la grama vita del pastore che con amore accudisce le sue pecore, mucche e capre, mentre altri cagliano il latte per farne formaggi e caciotte, nei tradizionali fustelli di vimini, da tutti chiamate “puzzutelle”.

Ma ciò che colpisce la fantasia di tutti è il fastoso e fiabesco corteo dei re Magi che emerge al centro di tutta questa folla: scintillanti d’oro e d’argento nelle loro sontuose vesti finemente ricamate con certosina pazienza, avanzano con il lungo seguito di dignitari, armigeri, schiavi ed odalische, negri, mongoli, asiatici ed orientali con i loro ricchi doni.

Al centro della scena, tra grandiosi ruderi di un tempio pagano, simbolo della caduta del paganesimo e della nascita del Cristianesimo, si ammira la mistica ed umile scena della Natività del Salvatore, adorato amorevolmente da Maria e Giuseppe ed attorniato da uno stuolo di angeli, cherubini e putti osannanti.

Sulla destra un angelo si stacca dal gruppo per annunziare agli attoniti ed addormentati pastori il grande evento.

Come già detto, il paesaggio dello “scoglio” è interamente di sughero lavorato, e riproduce molti punti caratteristici di Sorrento antica: i ruderi dell’acquedotto romano di Antonino Pio, il ricco portale del duecento, ancora oggi esistente in via Santa Maria delle Grazie, le bifore dell’antico palazzo Correale in via Pietà, la bella fontana di Piazza Castello, l’antica discesa con la porta della Marina Piccola e la sovrastante chiesa di Sant’Antonino, il picco di Capo Cervo, ove oggi vi è l’Hotel Vittoria, la porta greca della Marina Grande, il grande vallone dei Mulini, il ponte di Seiano e le antiche edicole votive che esistevano in città”.

La triste, ma anche bella e rocambolesca storia del presepe della Basilica di Sant’ Antonino a Sorrento

La storia del presepe della Basilica di Sant’ Antonino a Sorrento è particolarmente avvincente perché per certi versi triste, ma per molti altri anche bella e rocambolesca.

Conosciuto in tutto il mondo per la sua bellezza e per l’importanza dei suoi pastori, proprio questo presepe nel periodo che seguì il terremoto del 1980, fu oggetto di un clamoroso furto.

Nella notte tra il 28 e 29 gennaio 1983, infatti, alcuni ladri – rimasti anonimi – dimostrarono di essere dei veri e propri acrobati, ma anche di avere studiato nei minimi particolari il colpo che riuscirono a mettere a segno.

Per garantirsi l’ingresso nella chiesa, i delinquenti approfittarono delle impalcature e dei ponteggi che – all’epoca – erano stati allestiti per consolidare il costone tufaceo e per restaurare il Municipio (entrambe adiacenti alla Basilica del Santo Patrono). E, proprio grazie a questa stessa “strada”, i ladri riuscirono anche ad uscire scalando la facciata posteriore della Chiesa ed utilizzando il vallone in cui passa la strada che conduce alla Marina Piccola (Porto).

In una sola notte – approfittando anche di un violentissimo temporale – i ladri non solo riuscirono ad impossessarsi di tutti i preziosi pastori con relativi accessori, ma anche a mettere a segno il più grave furto che si sia registrato nella storia religiosa ed artistica di Sorrento, anche se c’è da dire che analoga sorte è toccata – sempre dopo il terremoto del 1980 – anche a quasi tutti i pastori della Cattedrale di Sorrento. Ciò ad evidente conferma che, con ogni probabilità si è trattato di colpi effettuati su commissione.

Pur profondamente addolorati per le gravissime perdite, in ogni caso, i sorrentini non si sono persi d’animo e si sono resi protagonisti, invece, di gesti di grande generosità e risposero con entusiasmo all’appello che il rettore della Basilica di Sant’ Antonino – che al tempo era mons. Gaetano Jaccarino – formulò affinché il presepe fosse ripopolato con pastori all’altezza della fama e dell’importanza di quelli che erano stati rubati.

E così, a distanza di quasi cinque secoli si è in parte ripetuta una storia che già si era verificata subito dopo lo sbarco in occasione del quale i saraceni, nel 1558, saccheggiarono Sorrento. In quell’epoca, infatti, gli stessi sorrentini, pur alle prese con gli effetti della devastazione della città, vollero dimostrare il loro attaccamento a Sant’ Antonino (Patrono di Sorrento) e commissionarono una statua argentea che lo ritraeva. Questi, a sua volta, per dimostrare l’apprezzamento per tanta devozione compì un miracolo e – si narra – che pagò personalmente l’artista cui era stata commissionata l’opera.

Tornando ai giorni nostri, invece, c’è da dire che il presepe di Sant’Antonino a Sorrento, è stato oggetto di uno straordinario evento.

Come evidenzia Pasquale Ferraiuolo (nel già citato “Il presepe della Basilica di Sant’Antonino a Sorrento”), infatti, un forse meno clamoroso “miracolo si è avverato: oggi il presepe di Sant’Antonino è nuovamente risorto, ricco della variopinta folla dei suoi personaggi, anche se non sono preziosi come quelli trafugati. Chiunque visita oggi tale opera resta letteralmente impressionato dalla gran massa dei personaggi che si affollano intorno al mistero della Natività del Redentore”. Al punto che “Il ricostruito presepe di Sant’Antonino rappresenta un modestissimo atto d’amore riparatore che è stato possibile realizzare grazie alla sensibile generosità di alcuni sorrentini che, privandosi di pastori di un certo valore, a cui erano molto affezionati, hanno permesso di ridonare l’antico splendore al “Piccolo Sammartino” della Basilica dell’amato Patrono”.

Le origini del presepe e dei pastori napoletani del settecento che erano ospitati nella Basilica di Sant’Antonino a Sorrento

Per quanto stupendo e ricco di pastori e pezzi pregiati il presepe della Basilica di Sant’Antonino fu allestito a partire dal 1946. Il magnifico esempio di arte presepiale napoletana si è reso disponibile grazie alla liberalità ed alla munificenza di Silvio Salvatore Gargiulo – anche noto come Saltovar – che per realizzare l’opera conferì uno specifico incarico ai professori napoletani Ciro Pinto e Antonio Lebro.

Con questi collaborarono anche gli artisti Oliva e Giuseppe Sollo.

Al secondo – che era un apprezzato scultore – Saltovar commissionò alcuni oggetti dichiaratamente sorrentini. Come, ad esempio, come il banchetto di “Nunziello ‘o castagnaro”, abituato a vendere le sue merci nella piazzetta dello Schizzariello (ovvero lungo Via San Cesareo), o la bancarella di “Leopoldo ‘o turrunare d’ò Capo” con evidente riferimento ad un personaggio del Capo di Sorrento.

Tra i molti preziosissimi pastori donati dal Saltovar per realizzare il presepe della basilica di Sant’ Antonino a Sorrento, figurarono – prima di essere rubati – molti pezzi dei più rinomati scultori napoletani del ‘700, come Sammartino, Celebrano, Gori, Schettini, Triloque, Gallo e Mosca ed animali del Vassallo, Gallo, Amatucci e Schettini.

In tutto Saltovar donò oltre 150 pastori, circa 70 animali ed accessori complessivamente stimati in 75 pezzi realizzati con materiali che andavano dall’argento all’oro, dall’avorio al rame ed al vetro.

La loro presenza a Sorrento fu motivo di vanto e di orgoglio per l’intera città fino al 1983.

Il racconto di chi visse l’allestimento del presepe della Chiesa di Sant’Antonino

All’inizio degli anni ’90 Antonino Lebro, figlio di quell’ Antonino Lebro che realizzò il presepe della Chiesa di Sant’Antonino scrisse un interessante saggio intitolato “Il presepe della Chiesa di Sant’Antonino che apparve sul numero 10 della rivista “La Terra delle Sirene” (Bollettino del Centro di Studi e Ricerche Bartolommeo Capasso di Sorrento, stampato presso la Tipografia Eurograph di Sorrento nel mese di dicembre del 1994).

In esso, l’autore – che all’epoca della realizzazione del presepe aveva 12 anni – scrisse : “Dell’ambiente sorrentino di allora il personaggio che meglio ricordo è certamente quello del donatore e mecenate Silvio Salvatore Gargiulo. Nobile figura di Sorrento, antiquario, poeta. In quest’ultima veste era noto come Saltovar. Mi tornano in mente i suoi versi e i piccoli volumi che mio padre, tornando dal lavoro, mi portava. Mi è rimasta impressa una sua poesia dedicata all’inverno: “… Nel rigido e brutale inverno / le fave io semino nel mio orto interno / ove i prezzemoli con l’erba fine / crescono assidui per la cucina …».

Gargiulo doveva essere necessariamente un grande collezionista di pastori del ‘700 napoletano se ebbe l’illuminata idea di donare la propria raccolta alla Basilica di S. Antonino in Sorrento e di prevedere per questa un presepe stabile da costruire a sue spese. L’incarico per la realizzazione dell’opera fu affidata a mio padre Antonio. Tra lui e Gargiulo vi erano già stati rapporti professionali e di cordiale stima che divennero in seguito di sincera amicizia.

I lavori durarono circa un anno e furono di grande soddisfazione per il nostro studio. Questo accadeva sul finire della guerra”.

Poi, nello stesso scritto, Antonino Lebro, artefice dell’ importante recensione critica ricorda un particolare che sfugge a molti: “Molti anni dopo, nel 1972, il Rettore della Basilica Monsignor Carlo Persico invitò mio padre a eseguire un intervento di restauro. Questa volta, insieme con mio fratello Rosario, contribuii fattivamente al lavoro. E quindi ne ricordo bene l’impianto.

Il presepe rispecchia in modo classico lo schema del presepe napoletano del XVIII secolo. È composto da tre “episodi” raccolti in un’ unica scena. Al centro spicca, a simboleggiare la vittoria del cristianesimo sul paganesimo, il rudere di un tempio romano ove è collocata la Natività. A destra dell’osservatore è una scena pastorale con l’episodio evangelico dell’ Annuncio, mentre a sinistra compare un altro “classico” presepiale, la taverna.

L’aspetto più singolare se non unico della scenografia è costituito dall’ inserimento del paesaggio sorrentino, fatto di stradine e vicoletti, edicole votive, fontane. Un insieme di grande fascino ove, prima del furto operato nel 1980, trovavano spazio le minuscole sculture settecentesche, i cui autori vanno ricercati tra i più rappresentativi artisti dell’epoca”.

Fabrizio Guastafierro

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