Le Ville del Miglio d’Oro

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Con il termine “Miglio d’oro” si intende il tratto dell’antica Strada Reggia delle Calabrie così denominato per l’eccezionale concentrazione di ville settecentesche e manufatti architettonici d’elevatissimo pregio che da San Giovanni a Teduccio giunge quasi ai confini di Torre Annunziata. Si tratta di un vasto fenomeno urbanistico avviato dal principe d’Elboeuf, dal Re Carlo e dalla Regina Amalia. Delle originarie 200 ville, attualmente 121 sono sotto la tutela dell’Ente Ville Vesuviane e la maggior parte appartiene a privati. In ogni caso è possibile effettuare un itinerario che tocca varie residenze sparse sul territorio vesuviano per poterne ammirare sia le stupende architetture, sia i magnifici arredi che ancora custodiscono. Le ville, infatti, furono realizzate su progetto dei più valenti architetti dell’età barocca, da Ferdinando Sanfelice (1675-1748), a Domenico Antonio Vaccaro (1678-1745), da Giovan Antonio Medrano (1703-?), a Ferdinando Fuga (1699-1781), a Luigi Vanvitelli (1700-1773).

Da un punto di vista strettamente architettonico, le ville presentano le caratteristiche tipiche degli stili barocco e rococò: gusto scenografico, uso sapiente degli effetti prospettici con le architetture a far da quinte su fondali costituiti dal Vesuvio e dal mare, mescolanza spregiudicata degli ordini architettonici. Negli interni grande attenzione è data al piano nobile, arricchito da terrazzi e affreschi che suggeriscono, spesso, gli stessi paesaggi visibili all’esterno. Un itinerario per le ville della zona vesuviana non può che cominciare da Portici, sicuramente già nota ai romani che la dovettero frequentare per il clima mite durante i periodi di villeggiatura e che visse un periodo di grande difficoltà quando nel 1631 fu colpita da una violenta eruzione del Vesuvio che distrasse l’intero abitato, per poi risorgere durante il periodo borbonico. Prima tappa è la Reggia di Portici, che dal 1873 è sede della Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. Costruita per volere di Carlo di Borbone nel 1738, fu il punto di partenza per la costruzione del complesso delle famose Ville vesuviane, uno dei patrimoni architettonici e storici più importanti dell’area vesuviana.

Interessante dal punto di vista architettonico: vi lavorarono Antonio Medrano, Antonio Canevari (1681-dopo 1759), ma anche Ferdinando Fuga e il Vanvitelli che la completarono. Una volta terminati i lavori nel 1742, ci si rese conto che la costruzione non era abbastanza grande per ospitare tutta la corte e per questo motivo si cominciarono a costruire, nei pressi della stessa reggia, una serie di altre ville di gran lusso. Già solo dopo qualche decennio dalla sua edificazione, soddisfò due necessità: residenza reale e sede del Museo Ercolanese. Quest’ultimo fu fondato per raccogliere gli oggetti portati alla luce ad Ercolano e ben presto divenne una celebrata meta del Grand Tour. La reggia costruita per i Borbone constava di una pianta quadrata alla quale furono aggiunte, durante il periodo francese, due ali, una rivolta verso il mare, l’altra verso il Vesuvio. Dalla parte del mare si aprono una serie di terrazze che offrono alla vista uno stupendo panorama. Il palazzo si articola in due parti, uno superiore e uno inferiore, separati da un vasto cortile preceduto dall’edificio della Cavallerizza a destra, e dall’ex caserma delle guardie reali a sinistra. Si accede al primo piano mediante uno scalone con muri e soffitto dipinti a finte prospettive, percorrendo il quale sarà possibile osservare alcune statue, collocate in nicchie, di origine romana provenienti da Ercolano. Al primo piano di interesse artistico sono la Sala delle Guardie e quella del Trono, che ancora conservano parte delle decorazioni originarie, un gabinetto stile Luigi XV ed un altro cinese con pavimentazione proveniente da Ercolano.

Splendida è la Cappella barocca che conserva due colonne di marmo rosso che, impiegate per la realizzazione dell’altare, provengono dalla scena del teatro di Ercolano. Interessante sono anche il cortile, decorato con statue provenienti da Ercolano, e l’Orto Botanico, in cui eccellono per bellezza la fontana delle Sirene, con una statua di scavo della Vittoria, ed il Chiosco di re Carlo, con un tavolino con mosaico sempre proveniente da Ercolano. La Reggia ospita anche due parchi: quello Superiore o Gussone e quello Inferiore. Ma a Portici meritano una visita anche altre ville tra cui Villa Elboeuf, che prende il nome dal principe che ne volle l’edificazione. Costruita nel 1711 da Ferdinando Sanfelice, in una splendida posizione panoramica sul mare di Portici, nel 1742 l’edificio e il parco furono acquistati da Carlo di Borbone come dipendenza marittima del vicino Palazzo Reale. Successivamente Ferdinando IV fece costruire un piccolo edificio, ai piedi della villa in riva al mare, i cosiddetti “Bagni della Regina”. L’edificio a tre piani non versa in un buono stato di conservazione ma ancora ben visibili sono le due scalinate ellittiche che collegano il palazzo con la spiaggia confluendo al piano nobile in una piazzola delimitata da una balaustra in piperno e marmo bianco che, insieme ai portali sanfeliciani, costituiscono l’elemento architettonico più significativo del complesso. Spostandosi ad Ercolano, una visita non può mancare a Villa Campolieto, riportata al suo splendore in seguito ai restauri effettuati grazie all’ente Ville Vesuviane che l’ha acquistata.

Fu costruita nel 1755 per volere di Luzio de Sangro, duca di Casacalenda e principe di Campolieto, che commissionò l’incarico a Mario Gioffredo (1718-1785). I lavori furono portati avanti da Michelangelo Giustiniani, ed infine completati da Luigi Vanvitelli. Il corpo di fabbrica principale della villa è congiunto ad uno stupefacente porticato ellittico. Il vestibolo è occupato da uno scenografico e monumentale scalone d’accesso che ricorda quello della reggia di Caserta. Dal grande portale d’ingresso sulla strada si giunge alla Rotonda, caratterizzata da archi su colonne di ordine tuscanico che creano, con la terrazza superiore, una passeggiata su due livelli. Il vestibolo del piano superiore è coperto da una cupola ed è decorato da sovrapporta con medaglioni raffiguranti le Quattro stagioni con scene mitologiche, opera di Crescenzo La Gamba (attivo seconda metà sec. XVIII). È su questo piano che si aprono le sale dell’appartamento nobile. Da notare è un grande ambiente coperto da volte a botte che affaccia verso il Vesuvio e dove ancora visibili sono gli affreschi dei quadraturisti piacentini Giuseppe e Gennaro Magri (sec. XVIII), con colonnati in prospettiva in cui si inquadrano le statue di Minerva e Mercurio, opera di Jacopo Cestaro (1718-1778). Infine si giunge al salone delle feste, affrescato con scene mitologiche e prospettive, opera di Fedele Fischetti (1732-1792) che realizzò un pergolato sul quale volteggiano amorini e variopinti uccelli esotici, con evidenti richiami alle decorazioni di Caserta.

Ma ad Ercolano merita una visita anche Villa Favorita, edificata per volere della famiglia Beretta dall’architetto romano Ferdinando Fuga e acquistata successivamente dal principe di Aci e di Campofìorito, Stefano Reggio Gravina, che la regalò al re Ferdinando IV di Borbone. Assunse il nome di Favorita perché la residenza ricordava alla moglie di Ferdinando, Maria Carolina d’Austria, il cui banchetto di nozze si svolse al suo interno, la villa favorita di Schonbrun. Si tratta di una visita molto interessante per due motivi. In primo luogo perché, dal punto di vista architettonico, l’edificio si discosta dagli schemi ricorrenti tipici delle ville settecentesche del Miglio d’Oro. Non esistono, infatti, lungo l’asse principale della facciata, aperture che consentano la vista diretta del parco interno. La seconda motivazione della sua originalità è dovuta all’articolazione degli spazi, ispirati alla produzione tardo-barocca locale, con livelli sfalsati tra il piano rialzato, il salone ellittico ed il giardino.

Molto interessanti sono anche i due cortili simmetrici e collocati lateralmente al corpo principale della villa. La grande area del parco si conclude verso il mare con l’approdo borbonico. All’interno del parco sorge un edificio di particolare pregio: la Palazzina del Mosaico, dependance della suntuosa villa. Di rilievo è anche la Villa Petti Ruggiero. Costruita per volere del barone Petti verso la metà del XVIII secolo, appartenne a questa famiglia fino al 1863, anno in cui passò ai Ruggiero. La villa è ubicata alle falde del Vesuvio, ed essendo lontana dal mare, appartiene alle cosiddette dimore rustiche legate un tempo soprattutto ad attività produttive di tipo agricolo e, quindi, priva di quella eleganza che contraddistingue le ville della zona costiera.

La villa presenta una struttura semplice, un corpo di fabbrica con due brevi ali laterali, collegate da una esedra, a determinare lo spazio di un cortile semiellittico. L’elegante composizione della facciata è dominata da ornati in stucco ma di rilevanza artistica è il bel portone sul fronte strada che, malgrado la successiva aggiunta di un secondo piano, presenta un arco a tutto sesto con lesene bugnate laterali in piperno, sormontate da capitelli ionici in marmo bianco. Al piano nobile si trova il salone centrale, ornato da pitture che richiamano lo stile di età romana per la presenza di motivi esotici, quali uccelli dal lungo piumaggio e dai colori caldi. Da questo vano, si accede alla terrazza dalle decorazioni che hanno un chiaro gusto rococò. Interessante è la presenza delle scuderie in quanto è possibile osservare ancora inalterati elementi in piperno come gli abbeveratoi e la mangiatoia. Attualmente nella stalla è stata allestita una mostra permanente di fotografie, che ripercorrono le varie fasi dei lavori eseguiti nella villa.

Prima di lasciare Ercolano, meritano una visita anche due Chiese:
Santa Maria di Pugliano e Sant’Agostino. La chiesa di Santa Maria di Pugliano è il più antico santuario della zona vesuviana. Essa, infatti era già conosciuta in epoca medievale quando furono ritrovati, durante lo scavo per la costruzione della chiesa, due bei sarcofagi di età romana ancora oggi conservati nella chiesa e sicuramente degni di interesse artistico.

Esternamente la Basilica si presenta come un insieme di edifici di epoche diverse e della struttura originaria resta solo il campanile. Nella chiesa, il cui impianto è a tre navate con cappelle laterali, custodisce interessanti opere. Bello l’altare in marmi policromi sul quale si erge un’edicola, anch’essa in marmi policromi, nella quale si conserva una stupenda scultura in legno trecentesca raffigurante la Madonna di Pugliano, oggetto di grande venerazione da parte del popolo. La navata accoglie un bei pulpito ligneo, in stile barocco, riccamente scolpito. Una delle opere più belle ed interessanti della chiesa è il Crocifisso nero, scultura in legno risalente alla fine XIII-XIV secolo, da molti ritenuta l’opera più significativa della basilica. La chiesa di Sant’Agostino è in stile barocco e risale al 1613. L’impianto è a navata unica con cappelle laterali. Anche questa chiesa custodisce opere di valenza artistica tra le quali vanno menzionate La fuga in Egitto, attribuita allo Zingarelli, i dipinti che riprendono il Santo Agostino, attribuiti a Luca Giordano (1634-1705), e il dipinto della Vergine che appare a San Nicola da Tolentino, firmato da Antonio Sarnelli (1742-1793). L’altare maggiore in marmo settecentesco, ospita un trono su cui è collocata una copia seicentesca di un dipinto di epoca bizantina su tela raffigurante la Madonna della Consolazione, da cui la chiesa prende il nome. Da Ercolano ci si sposta a San Giorgio a Cremano. Anche qui è possibile proseguire l’itinerario che conduce all’interno delle incantevoli ville vesuviane. Prima tappa è sicuramente Villa Bruno. La villa, con impianto planimetrico settecentesco, in origine appartenne alla famiglia Monteleone. Il suo aspetto attuale è fortemente influenzato dalle trasformazioni operate in epoca neoclassica.

Tuttavia, il prospetto posteriore, pur nella sua semplicità, conserva l’ampio arco ribassato, caratteristico del barocco ed il corrispondente balcone principale. Testimonianze settecentesche sono anche alcune nicchie nell’atrio e le porte rococò nei vani del salone al piano nobile ed anche il giardino conserva l’originario impianto settecentesco, nonostante sia stato arricchito durante il restauro ottocentesco con statue, sedili in pietra ed altri elementi scultorei. Il piano nobile conserva decorazioni ottocentesche e affreschi raffiguranti paesaggi, secondo l’uso di riprodurre l’ambiente esterno anche nei saloni. Villa Bruno è il Palazzo della Cultura vesuviana, luogo di manifestazioni, eventi ed incontri. La storica dimora settecentesca, un tempo fonderia dei reali napoletani, è diventata in questi ultimi anni un punto nevralgico della vita socioculturale ed economica cittadina. Oggi è la sede permanente di diverse attività e società rilievo. Altra villa visitabile è Villa Tufarelli che presenta uno schema planimetrico con due corpi a “L” che si ricongiungono nell’atrio. La villa fu edificata nel Cinquecento come casino di caccia e rimaneggiata nel Settecento quando divenne proprietà dei Tufarelli.

Proseguendo l’itinerario della zona vesuviana, si giunge a Torre del Greco, di origine romana, la cui sede originaria era costituita da due località sul mare, Sola e Calastro, successivamente unite e la cui popolazione era dedita alla pesca. Anche Torre del Greco rientra nel cosiddetto Miglio d’oro ed effettivamente anche qui è possibile osservare una serie di ville delle quali la maggior parte, purtroppo, ha completamente visto alterato il suo aspetto attuale. È comunque interessante sapere, per quanti si spingeranno fino a questa ridente cittadina, che laddove si incontreranno delle antiche abitazioni, rientrano anch’esse in un iter settecentesco che, seppur non consente una visita interna, permette ancora oggi di riviverne il grande fascino. Tra le varie ville si ricordano: Villa Bruno-Porta, alla quale si accede attraverso un imponente portale, sormontato da una edicola sacra contenente la statua di San Gennaro e fiancheggiato da due balconi, Villa del Cardinale, la cui facciata principale è scandita, in senso orizzontale, dalla cornice marcapiano corrispondente ai balconi del piano nobile e, in senso verticale, dalle paraste composite che, già presenti nel bei portale in piperno, ricompaiono al piano superiore contornando l’apertura del balcone centrale, Villa Prota, la cui antica struttura fu rivestita con panni rococò probabilmente da Antonio Vaccaro che le conferì elementi decorativi, tipici del barocco napoletano, tra cui prevale il motivo del “traforo”.

A Torre del Greco una visita merita la bella chiesa di San Michele, sul Colle di origine vulcanica dedicato a Sant’Alfonso. Qui già nel XVI secolo esisteva una cappella dedicata a San Michele. Nel 1602 il colle fu ceduto dall’Università, alla quale sin dalla sua origine era appartenuto, alla comunità dei padri Eremitani Camaldolesi. Fu in questo periodo che il colle cambiò nome e fu detto Camaldoli della Torre. Con la soppressione dei beni ecclesiastici, nel 1867 i monaci abbandonarono il colle che, messo in vendita dallo Stato, passò nelle mani di diversi privati. Gravi danni subì durante il periodo della seconda Guerra Mondiale per poi essere restaurato dallo Stato e acquistato dai Padri Redentoristi di Sant’Alfonso Maria dei Liguori. La chiesa che sorge sul colle, la cui visita va consigliata anche per lo stupendo panorama che offre e per l’aria pura che si respira, è in stile barocco e sorge sul luogo dell’antica cappella che fu abbattuta nel 1741 quando cominciarono i lavori dell’attuale chiesa. Presenta un impianto a navata unica con cappelle laterali e tra le opere più pregevoli vanno menzionati il bell’altare in marmi policromi, le due acquasantiere ubicate sulla controfacciata della chiesa ai lati del portale di ingresso e il coro in legno intarsiato. Interessanti sono anche gli affreschi della sagrestia opera di Francesco Palumbo del 1764. Nella zona più interna del territorio vesuviano merita una visita il piccolo comune di Boscoreale, un centro di origine agricola, già esistente nel II secolo a.C. come testimoniato dai ritrovamenti archeologici, situato tra le pendici del Vesuvio e la zona archeologica di Pompei. È qui che è ubicata Villa Regina, da pochi conosciuta, ma che vale la pena di visitare.

Si tratta di una delle tante ville sommerse durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e riportata alla luce negli anni Ottanta del secolo scorso. La villa era un’unità di produzione specializzata nella viticoltura come testimoniato dal rinvenimento di 18 dolii interrati per la conservazione del mosto ricavato nel vicino vigneto che circondava la villa.

Molto interessante è la grande cella vinaria con gli orci infossati per la conservazione del vino. Accanto a Villa Regina sorge il Museo Archeologico di Boscoreale, dedicato specificamente alle testimonianze archeologiche pertinenti lo sfruttamento agricolo e l’ambiente naturalistico dell’epoca romana, con reperti provenienti dai siti archeologici di Pompei, Ercolano, Opiontis, Stabiae, Terzigno, Boscoreale. Nelle due sale di cui si compone il percorso espositivo, si alternano reperti provenienti da ville rustiche del territorio e ricostruzioni di ambienti naturali. Continuando la strada verso Sorrento si incontra Castellammare di Stabia, che si allarga ad anfiteatro davanti al mar Tirreno e la cui maggiore risorsa sono le sorgenti naturali di acque minerali che sgorgano spontaneamente dalle pendici del monte Faito e che hanno dato vita a due stabilimenti termali.

Il centro di Castellammare è Piazza Giovanni XIII, nota come Piazza Municipio, dove sorge Palazzo Farnese, eretto per volere del Duca Farnese, cui la città appartenne. Sulla piazza si affaccia la maestosa Chiesa Cattedrale dedicata a Santa Maria Assunta e a San Catello, costruita nel XVI secolo sul luogo di un cimitero cristiano del III secolo ed ampliata e decorata tra il 1875 e il 1893 da Ignazio e Giovanni Pispoli (secc. XIX-XX). L’interno, a tre navate con cinque cappelle per lato, custodisce importanti opere di artisti quali Giacinto Diano (1731-1804) e Giuseppe Bonito (1707-1789), statue lignee di scuola napoletana (tra cui quella del Patrono della Città, San Catello) e le tele dello Spagnoletto (1591-1652). Imboccando Via del Gesù, fiancheggiata dalla chiesa neoclassica delle Anime del Purgatorio, si giunge alla seicentesca chiesa del Gesù che conserva tra le opere più importanti, una tela di Paolo De Matteis (1662-1728) e una tela di Luca Giordano (1634-1705). Di grande interesse culturale è la biblioteca annessa alla Chiesa.

Un luogo cosi ameno non poteva che essere meta prediletta dei sovrani angioini che vi fecero edificare nel 1310 la propria dimora estiva nella quiete del Quisisana.

La villa, successivamente, passò agli Aragonesi, quindi ai Borbone, che ne fecero una residenza reale; Garibaldi la adibì a ospedale per i suoi volontari e, infine, fu trasformata in albergo. Ai piedi della collina di Varano, è la grotta di San Biagio, un insediamento rupestre risalente all’epoca paleocristiana, ricco di storia e avvolto da un alone di mistero. Incerta la sua funzione originaria, forse una cripta pagana trasformata dai benedettini in basilica cristiana. Di rilievo artistico sono le pitture risalenti ad epoche diverse che si sovrappongono sulle pareti della grotta a formare un vero e proprio palinsesto. Gli amanti di archeologia non potranno sottrarsi alla visita dell’Antiquarium Stabiano, Museo che accoglie interessanti reperti provenienti per lo più dalla romana Stabiae e dalle sue grandiose ville. Inoltre, sul pianoro di Varano, a breve distanza da Castellammare, lungo la Passeggiata Archeologica, si trovano i resti di due edifici di epoca romana, chiamate l’una Arianna, per un affresco ritrovato sul sito, l’altra San Marco, per una cappella settecentesca dedicata al santo.

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