Arte e Archeologia

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Area archeologica per eccellenza, Pozzuoli, insieme a Cuma, è stato il centro più antico dei Campi Flegrei. La sua fondazione risale al VI sec. a.C. ad opera di una colonia di esuli greci provenienti da Samo che fondarono un centro abitato nel Rione Terra cui diedero il nome di Dicearchia, cioè “giusto governo”, in polemica contrapposizione al governo della propria città dominata dal tiranno Policrate. Chiamata in epoca romana Puteoli (piccoli pozzi), divenne il principale porto commerciale di Roma e nel II secolo si dotò di importanti edifici pubblici: terme, fontane, ninfei, templi, stadi e mercati. Nel cuore della città si incontra l’Anfiteatro Flavio (per grandezza il terzo d’Italia che poteva contenere fino a 20.000 spettatori), risalente alla fine del II secolo a.C., epoca di Vespasiano, costruito in opus reticulatum, in cui si svolgevano giochi di gladiatori.

Attualmente si conservano la struttura portante e i sotterranei. Costruiti prevalentemente in laterizio, costituiti da tre corridoi, sono proprio questi ultimi a destare fascino e interesse archeologico. In uno di questi ambienti, nel 1689, fu costruita una cappella dedicata a San Gennaro ove, secondo la tradizione, il Santo e i suoi compagni furono esposti alle belve feroci senza essere attaccati. Divenuto insufficiente al crescere della città, all’epoca di Nerone fu costruito anche l’Anfiteatro Minore, realizzato in opus incertum. Percorrendo Via Terracciano, da visitare sono i resti di un grandioso edificio termale, il Tempio di Nettuno.

Collegato alle vicine terme doveva essere il Ninfeo di Diana, di cui si conserva il basamento circolare e parte dell’alzato. Da piazza Capomazza, attraverso via Pergolesi, si raggiunge il Tempio di Serapide, (anche detto Serapeo) tappa d’obbligo per rivivere lo splendore della civiltà romana di Pozzuoli. Prende questo nome da una statua del dio egiziano Serapide qui rinvenuta, ma in realtà questa zona era l’antico Macellum, ossia l’antico mercato annesso all’area portuale. Costruito all’epoca dei Flavi, è di grande rilevanza archeologica. La lettura dei resti consente di capire che esso era costituito di un’area quadrilatera circondata da un portico su colonne di granito o di cipollino, con locali destinati al commercio, bagni pubblici e botteghe e, al centro, un tempietto circolare. Un luogo di grande fascino se si pensa che il fenomeno del bradisismo ha fatto sprofondare e riemergere più volte i resti dell’edificio dalle acque i cui livelli raggiunti sono ben visibili dai segni lasciati sulle colonne (proprio per questo motivo il tempio è detto “termometro del bradisismo”).

Ma il cuore di Pozzuoli è il Rione Terra, uno sperone di Roccia proteso nel Golfo di Napoli dove, secondo la storiografia greco-romana, giunsero gli esuli greci e fondarono Dicearchia. Alla fine del I secolo a.C., divenne colonia romana e, come tale, le fu dato un impianto urbanistico che prevedeva la tipica suddivisione in cardini e decumani. Nel IV secolo d.C., l’accentuazione del bradisismo discendente sommerse le opere portuali e segnò il definitivo declino della città. I secoli a venire hanno visto la costruzione di nuove strutture in sovrapposizione a quelle antiche e fu cosi che si perse l’antico tracciato viario. In seguito ad una crisi bradisismica l’intero Rione Terra è stato evacuato nel marzo 1970 ma, grazie ad una campagna di scavo, sono state portate alla luce anche le strutture dell’antica cittadina ed oggi è possibile visitare circa quattromila metri quadrati dell’antica città romana con le vistose tracce di un cardine e di un decumano. L’ingresso è quello di un semplice portone in Largo Sedile di Porto ma una volta entrati si avrà l’opportunità di vedere le taverne, la bottega del fornaio con le macine per il grano, le piccole dimore dei pescatori, e tutto quanto fece di questo luogo un vero e proprio borgo.

Sempre al Rione Terra, sulla parte più alta, si trova una testimonianza molto interessante: il Duomo di Pozzuoli, costruito su un tempio antico trasformato nel V-VI secolo in chiesa cristiana. Fino al 1631 l’edificio mantenne in linea generale la struttura originaria del tempio romano, quando iniziarono i lavori per la trasformazione barocca su progetto di Cosimo Fanzago (1591-1678) e Bartolomeo Picchiatti (?-1643). Un incendio nel 1964 però ne distrusse il rifacimento barocco rivelando la struttura del tempio romano, detto Tempio di Augusto, raro esempio di classicismo augusteo, e i cui scavi consentono di riconoscerne tutti gli elementi: l’alto podio, che incorpora resti di un precedente tempio in tufo di età sannitica (II sec. a.C.), il profondo pronao, la cella cui si addossano semicolonne, fino alla cornice e al frontone. Molti dei dipinti sfuggiti all’incendio, tele di Artemisia Gentileschi (1597-1652 ca.), Giovanni Lanfranco (1582-1647), Massimo Stanzione (1585 ca.-1658 ca), ecc., sono conservati al Museo Nazionale di San Martino. Il Duomo conserva anche la tomba di G. B. Pergolesi, il celebre musicista, nato a Iesi nel 1710 e morto a Pozzuoli nel 1736. Proseguendo sulla Domiziana, si ha la possibilità di godere di una veduta dall’alto del Lago d’Averno con il mare e il castello aragonese di Baia.

Altra tappa fondamentale per un tour archeologico è proprio Baia, una delle sedi residenziali per eccellenza, il cui nome deriverebbe dal luogo di sepoltura di un nocchiero di Ulisse, Baios. Baia comprende la vasta area tra il promontorio di Miseno e il Lago di Lucrino. Stazione più ricca e mondana dell’impero, può essere definita la Costa Azzurra dell’antichità. Attualmente la maggior parte dei favolosi edifici di Baia, è sotto il mare (Parco archeologico marino), sul fondo del quale si scorgono ancora i resti delle imponenti costruzioni e i preziosi mosaici pavimentali, degni di una visita possibile con apposite imbarcazioni col fondo di vetro, oppure visitabile con attrezzature da sub.

Meraviglioso è il Parco Archeologico, complesso imperiale romano (1-IV secolo d.C.) che si estende sul pendio sovrastante l’abitato. Tra le varie sezioni che costituiscono l’incantevole parco (Villa dell’Ambulatio, magnifico esempio di villa tardo-repubblicana, il settore di Sosandra, probabilmente con gli alloggi per i clienti delle terme, il settore di Venere, interamente occupato da edifici termali) un’attenzione particolare merita il Tempio detto impropriamente di Mercurio, un’enorme aula termale a cupola, che non cessa di destare meraviglia con l’atmosfera irreale che caratterizza l’interno della struttura invasa dall’acqua.

Stucchi, mosaici, pitture sono ben conservati in molti vani dei complessi edilizi del parco.

Si è ipotizzato che tutto il complesso facesse parte del palatium imperiale di Baia di cui parlano le fonti. Degni di nota sono anche i resti del Tempio di Diana e del Tempio di Venere.

Centro residenziale che in età romana caratterizzava la regione baiana, è anche Bacoli. All’inizio dell’abitato si incontra Via Agrippina che trae questo nome dal cosiddetto Sepolcro di Agrippina, madre di Nerone, anche se in realtà si tratta dei resti della cavea di un piccolo Odèon, un teatrino per concerti, di una villa marittima romana. A testimonianza dell’antico impianto idrico della zona, sono le Cento Camerelle, un impianto di serbatoi d’acqua di una delle più antiche ville baiane, Quintu Hortensius, databile al I secolo d.C. Anche a sud dell’abitato si trovano i resti di una delle più monumentali cisterne romane, la Piscina Mirabilis, la cui volta poggia su 48 pilastri quadrangolari disposti su quattro file a formare cinque navate, simili a quelle di una cattedrale sotterranea. Da Bacoli si giunge a Miseno che prende questo nome dal mitico trombettiere di Enea annegato in queste acque e qui sepolto. Di origine romana, ebbe sempre un carattere militare fino al V secolo quando perse il suo ruolo strategico e difensivo.

Su via del Faro si affaccia il monumento meglio conservato dell’antica Misenum, un complesso destinato al culto dell’imperatore, probabilmente il Templum Augusti. Presumibilmente qui doveva collocarsi anche il piccolo foro di Misenum, con gli edifici pubblici principali. Il tempio, risalente nelle forme attuali al II secolo d.C., è oggi in parte sprofondato per effetto del bradisismo. L’ambiente centrale è il vero e proprio sacello, composto da una cella rettangolare, con le pareti in reticolato e con un’abside nella parete di fondo. Vi si accedeva tramite una gradinata marmorea fiancheggiata dalle statue di Venere e dell’imperatore Nerva. Attualmente non è visitabile ma molte statue ritrovate durante gli scavi sono custodite al Museo Archeologico presso il Castello Aragonese di Baia. Ai piedi del monte Miseno, verso la spiaggia di Miliscola, si apre la grotta della Dragonara, una grossa cisterna a cinque navate, che per l’approvvigionamento di acqua per le navi che si spingevano fin sotto la flotta. Sempre nei pressi della Grotta della Dragonara, sorge la deliziosa chiesa parrocchiale di San Sossio, sulla cui gradinata di accesso sono conservati resti marmorei provenienti dal porto romano.

Adiacente alla grotta della Dragonara, si aprono una serie di ambienti, scavati nel tufo, pertinenti ad una villa, probabilmente la villa di Lucullo, della quale si distinguono pareti in cocciopesto e strutture in opera vittata, reticolata e laterizia. Percorrendo la Via Domiziana si raggiunge Cuma, una delle più antiche colonie greche, risalente alla metà dell’VIII secolo a.C. ca. Dell’età greca visibili sono i resti di fortificazioni sul colle dell’Acropoli, risalenti al V secolo a.C. Gli scavi effettuati in questo centro archeologico per eccellenza hanno portato alla luce, nella parte orientale, diversi fabbricati tra cui il Foro, il Tempio Capitolino e quello che può essere considerato il monumento più suggestivo di Cuma: l’Antro della Sibilla Cumana, scavato, nella sua parte più antica, dai greci nel VI-V secolo a.C. e oggi un lungo corridoio a sezione disseminato di archi trapezoidali, tagliato nel tufo e illuminato da sei aperture laterali, che conduce ad un ambiente arcuato finale.

Studi approfonditi hanno stabilito che si trattava di un impianto termale poi riutilizzato come ambiente termale per poi essere utilizzato, in età cristiana, come area cimiteriale. Alla destra dell’ingresso dell’antro della Sibilla, si apre la Cripta Romana, che tagliando la collina di Cuma univa la città bassa con il porto. Essa fa parte del complesso di opere di viabilità militare fatte eseguire da Agrippa intorno al 37 a.C. Sempre nell’Acropoli, di rilievo è il Tempio di Apollo, ricostruito nella prima età imperiale sul luogo di un antico santuario di età greca o sannitica anche se la leggenda vuole che fu edificato da Dedalo, giunto qui al termine del favoloso volo da Creta. Attualmente rimangono i resti della pavimentazione, del colonnato e dei pilastri quadrangolari che ripartivano la cella al centro del tempio. Sul pavimento si notano delle aperture rettangolari che altro non sono che fosse sepolcrali scavate dal V secolo a.C. quando il tempio fu trasformato in basilica cristiana.

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