Percorso Artistico e Archeologico

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La tradizione artistica delle tre isole del Golfo di Napoli affonda le sue radici millenni prima della venuta di Cristo e soddisfa gli amanti dell’arte di ogni periodo, da quella medievale, all’arte contemporanea, nonché delle arti applicate. Il territorio offre la possibilità di ammirare espressioni artistiche diverse: ville romane, chiese di ogni epoca, musei, tele, busti reliquiario, altari e tutto quanto, collocato in una determinata chiesa o palazzo, da dieci, cento o mille anni, è divenuto depositario di tradizioni, segreti e leggende che contraddistinguono ogni popolazione. Un tour che conduce per i comuni delle isole napoletane alla ricerca di un patrimonio storico-artistico che cela segreti nascosti.

Chiese e ville con una leggenda in più… in giro per i nove comuni delle isole

II percorso prende avvio dal Porto di Marina Grande di Procida per raggiungere Terra Murata alle cui pendici, in Piazza dei Martiri, sorge la Chiesa della Madonna delle Grazie costruita nel 1679, in piena età barocca, con impianto a croce greca con tre bracci absidati e cupola con tamburo ottagonale. Punto focale è la tela, di incerta datazione, raffigurante la Madonna delle Grazie. La leggenda narra di un grande miracolo compiuto da questa madonna che fa riferimento all’assalto subito da un pescatore da un grosso cetaceo marino senza essere ucciso. Catturato l’animale le sue spoglie, a ricordo del miracolo della Vergine, vennero raccolte e custodite nel Santuario.

Abbandonata la chiesa della Madonna delle Grazie, si raggiunge la parte alta di Terra Murata per visitare l’abbazia benedettina di San Michele Arcangelo vero scrigno di arte e cultura, fondata nel 1026 ma che probabilmente sorge su un precedente complesso religioso del V-VI secolo. Nella chiesa, a pianta basilicale suddivisa in tre navate e diciassette altari, particolarmente interessante è il soffitto a cassettoni della navata centrale risalente al XVII secolo, realizzato in legno e oro zecchino, al centro del quale domina il dipinto più prestigioso della chiesa: San Michele che sconfigge Satana, attribuito a Luca Giordano (1634-1705).

L’intero complesso si articola su due livelli:  la chiesa ed il complesso abbaziale. Sull’altare della cripta sono sistemati un teschio e una piccola bara del XVIII secolo. Avvolto da un alone di mistero è l’immenso ossario, che dalla chiesa scende fino al mare per oltre 70 metri, di ossa e ceneri accumulatesi nei secoli dove i cadaveri sono stati gettati senza alcun criterio. Usciti dall’abbazia, lo sguardo è rapito dall’ex Palazzo Reale diventato, dopo il 1815, prima collegio militare e, tra il 1830 e il 1831, bagno penale da re Ferdinando II di Borbone.

Scendendo da Terra Murata, si incontra la Marina Corricella, piccolo porticciolo dei pescatori. Per i turisti amanti degli animali, va proposta una tappa presso la chiesa seicentesca di Sant’Antonio Abate, a navata unica con cappelle laterali. Di rilevanza artistica è il settecentesco altare maggiore finemente intarsiato in marmi policromi e la balaustra antistante, cesellata da lesene decorate a rilievo, nonché alcuni dipinti di scuola di Francesco Solimena. In tempi antichi i procidani, durante le festività di “Sant’Antuone” solevano portare in processione, attorno alla chiesa, i propri animali per farli benedire e proteggere dalle epidemie. In via Lavadera è consigliata una sosta, per tutte le donne ancora in cerca di marito, presso la chiesa di Sant’Antonio di Padova, con impianto a navata unica e cappelle laterali. Sull’altare maggiore è la tela del XVII secolo raffigurante Sant’Antonio. Nella chiesa è presente una statua di San Pasquale Baylon dinanzi alla quale, secondo i racconti delle donne precidane, un tempo si recavano tutte le giovani donne in cerca di marito. Ancora oggi, infatti, il Santo è considerato “protettore delle zitelle”.

Dal porto turistico di Marina Chiaiolella si raggiunge l’isolotto di Vivara che conserva numerosi reperti dei suoi primi abitanti, riportati alla luce in seguito alle numerose campagne di scavo. Da quel momento sono stati portati alla luce ulteriori materiali di provenienza non solo micenea, ma anche indigena a testimonianza del fatto che l’isola era abitata anche da una popolazione stanziale.

I reperti vanno dalle tazze di modeste dimensioni ai vasi, ansati e non, di dimensioni medie e grandi, oltre a frammenti di altri oggetti di uso quotidiano.

Abbandonata Procida ci si sposta ad Ischia Porto con il suo approdo naturale collocato in un cratere vulcanico del IV sec a.C. ricavato per volere di Ferdinando II di Borbone aprendo un canale nella roccia. In Piazza del Redentore si può visitare la neoclassica Chiesa di Santa Maria di Porto-Salvo. Il prospetto è su due piani, decorata all’esterno da un peristilio in stile greco. L’interno, con pianta a croce latina, custodisce tre grandi dipinti ottocenteschi di scuola napoletana collocati sopra i tre altari. Da Porto si prosegue e si arriva ad Ischia Ponte, vecchio borgo marinaro il cui nome deriva dal Ponte che fece costruire Alfonso d’Aragona per collegare il villaggio all’isolotto tufaceo dove ora sorge il Castello Aragonese, complesso di costruzioni di varie epoche. Lungo il percorso che porta in cima al castello, a metà salita, meritano una visita la Cappellina, scavata nella pietra viva, dedicata a San Giovanni Giuseppe della Croce (1654-1734), l’unico santo di origine ischitana. Si accede al castello percorrendo a piedi la galleria scavata da Alfonso I d’Aragona intorno al 1447, o a mezzo di un moderno ascensore. Sulla sommità della rocca è ubicata la settecentesca Chiesa dell’Immacolata con pianta a croce greca, arricchita sull’asse maggiore da un vano quadrangolare impiegato come presbiterio e da un altro usato come pronao.

Di grande fascino è il cinquecentesco Convento delle Clarisse, abbandonato dopo la soppressione ottocentesca dei monasteri, che si sviluppa come un blocco rettangolare con prospetto arricchito dalla scansione regolare delle finestre. È qui che leggenda e tradizione si intrecciano visto che nei sotterranei della chiesa è possibile visitare il macabro cimitero delle monache dove è visibile l’ossario delle religiose che, una volta morte, invece di essere interrate venivano sedute su seggiole in muratura, gli scolatoi. Una visita non può mancare alla Chiesa di Santa Maria della Libera dove, di recente, è stato rinvenuto e restaurato un affresco di particolare interesse artistico, al di sotto di un altro affresco duecentesco. Arrivati in cima al castello ci si imbatte nei ruderi dell’antica Cattedrale dedicata all’Assunta, bombardata nel 1809. La sua costruzione risale al 1300 quando gli abitanti di Geronda, antico nome dell’isola di Ischia, si trasferirono sul Castello a causa dell’eruzione del monte Epomeo. La cattedrale è su due piani: la chiesa superiore e la cripta. È sull’altare in fondo alla navata di sinistra che nel 1503 si celebrarono le nozze tra Ferrante d’Avalos e Vittoria Colonna. L’altare maggiore, invece, è stato trasferito dopo la distruzione nell’attuale cattedrale. Ultima tappa è la cinquecentesca Chiesa di San Pietro a Pantaniello dalla caratteristica pianta esagonale, attribuita all’architetto Iacopo Barozzi, detto il Vignola (1507-1573).

Ma ad Ischia Ponte non può mancare una visita presso l’attuale cattedrale, la Chiesa dell’Assunta, risalente al XII secolo ma ricostruita in forme barocche. All’interno custodisce pregevoli opere d’arte tra cui un trecentesco fonte battesimale con vasca tardo rinascimentale sorretta da tre Cariatidi, e un crocifisso ligneo del XIII secolo. Annesso alla chiesa vi sono anche le Storiche Prigioni dove furono rinchiusi Luigi Settembrini, Carlo Poerio e Silvio Spaventa. A Casamicciola vi è un “piccolo gioiello” dell’architettura settecentesca, la chiesa di Santa Maria delle Grazie, con pianta basilicale, divisa in tre navate con volta centrale a vela lunettata e voltine a crociera nelle navate laterali.

Dopo Casamicciola si raggiunge Lacco Ameno, punto di approdo dei coloni Greci. È qui, infatti, che durante un importante scavo archeologico sono stati riportati alla luce pezzi greci di grande valore tra i quali troneggia la famosa coppa di Nestore, conservata nel Museo di Villa Arbusto che reca l’iscrizione di un epigramma in tre versi, ritenuto il più antico testo poetico greco, contemporameo ai versi di Omero. Anche i cristiani hanno qui lasciato culti e tracce, infatti, una delle prime comunità religiose nacque proprio dove oggi sorge la Chiesa di Santa Restituta, sul luogo in cui nell’antichità romana sorgeva una grande cisterna e sull’area in cui, tra il IV e V secolo d.C, fu eretta una basilica paleocristiana. L’attuale facciata è in stile neoclassico e risale al 1910. All’interno alcuni dipinti ottocenteschi di Ferdinando Mastroianni (not.1885), riproducono le scene del martirio di Santa Restituta.

Da Lacco si giunge a Forio d’Ischia.

Molte le testimonianze artistiche a partire dalla chiesa di Santa Maria di Loreto risalente agli inizi del XIV secolo. Molte le opere qui custodite tra le quali si ricorda la tavola cinquecentesca raffigurante la Madonna di Loreto, del pittore napoletano Decio Tramontano (seconda metà del XVIII secolo). Nei pressi del Municipio si incontra un vero simbolo degli ischitani, la chiesa di Santa Maria del Soccorso, il cui ingresso è decorato da ceramica policroma e ricca di ex-voto di pescatori scampati alle tempeste. Si arriva al Comune più alto dell’isola, Serrara Fontana, ai piedi del monte Epomeo, sulla cui vetta è la quattrocentesca chiesa di San Nicola alla quale è annesso un eremo scavato nel tufo con grotte, stanze e cunicoli in funzione dell’eremitaggio. Ultimo comune è Barano. È in Piazza San Rocco che, avvolta in uno stupendo panorama, vi è la Parrocchia di San Giorgio per la quale esiste un atto legale che attesta l’esistenza di una cappella su questo luogo già dal 1300. Tra le opere presenti in chiesa sono da rilevare i quattro altari di cui uno fu dono di Ferdinando II, e un crocefìsso del 1300.

Si giunge a Capri che offre tra gli itinerari più affascinanti, quello che conduce alla scoperta delle antiche ville, in origine dodici, volute da Augusto e Tiberio, ognuna delle quali, secondo la tradizione, fu dedicata ad una divinità dell’Olimpo. È proprio agli imperatori romani, infatti, che è legata la fama dei due comuni dell’isola, Capri e di Anacapri. Facilmente raggiungibile dal Porto di Marina Grande, è il Palazzo a Mare, villa costruita per volere dell’imperatore Augusto. In origine si estendeva sulla vasta superficie che va dalla punta Bevaro alla spiaggia nota come Bagni di Tiberio, disponendosi con vari nuclei tra mare e promontorio. Si trattava, probabilmente, del tipo di villa romana aperta formata da piccoli ambienti sparsi e arricchita da un grande parco.

Del palazzo oggi si possono ammirare solo le rovine: un muraglione di scarpata a cui si addossa un’abitazione, una esedra-ninfeo e un piccolo bacino portuale di età augustea con aggiunte di età liberiana. Come seconda tappa è consigliata Villa San Michele ad Anacapri raggiungibile, o dalla famosa Scala Fenicia, oppure tornando al porto di Marina Grande e proseguendo, raggiunta la famosa Piazzetta, verso Piazza Vittoria da cui è possibile seguire le indicazioni. Villa San Michele sorge nei pressi di una piccola cappella dedicata a San Michele Arcangelo e si presenta come una costruzione che sorge sui resti di un’antica villa imperiale. Attualmente conserva uno stile sobrio ed elegante ed è sede della Fondazione Axel Munthe. Tra i materiali esposti vi sono reperti di epoca romana, etrusca ed egizia. Lo scrittore fece restaurare i resti di precedenti costruzioni che probabilmente in origine era una stazione di sosta romana al termine della Scala Fenicia. Resti di un altro edifìcio di età liberiana, sono osservabili a Villa Damecuta.

Diffìcile conoscere l’originaria estensione di questo complesso riportato alla luce durante gli scavi eseguiti tra il 1937 e il 1948, del quale oggi restano alcune strutture disposte lungo il ciglio del costone roccioso, caratterizzate da possenti costruzioni ad archi. Come altre ville imperiali dell’isola, anche questa doveva prolificare di pavimenti marmorei, decorazioni e opere d’arte. Tra i pochi resti, di particolare interesse è la loggia dell’ambulatio sostenuta da pilastri ed archi. Probabilmente Villa Gramola, altro sito archeologico, fu una specie di appendice di villa Damecuta. D’obbligo è spostarsi sul lato opposto dell’isola per raggiungere la meravigliosa Villa Jovis. Si tratta della principale residenza dell’imperatore Tiberio, risalente al I sec. d.C., che ancora oggi consente di osservare gli affascinanti e incantevoli paesaggi che tanto dovettero colpire l’imperatore al punto da sceglierlo come luogo per la sua residenza.

È da Villa Jovis che si osserva il cosiddetto Salto di Tiberio, un belvedere al margine di un precipizio roccioso dal quale, secondo la leggenda, i nemici dell’imperatore venivano uccisi proprio con una spinta nel vuoto in seguito a sevizie e torture. Attualmente restano solo le nude strutture murarie a causa delle asportazioni avute soprattutto nel XVIII secolo ma alcuni resti sono ancora visibili: un pavimento in marmo d’Africa, riveste la zona dell’altare maggiore della chiesa di Santo Stefano e un altro si trova in una sala della Reggia di Capodimonte a Napoli. Per visitare la villa si consiglia l’uso di una planimetria. Sul punto più alto della villa una breve tappa merita la piccola Chiesa di Santa Maria del Soccorso, risalente al XVIII secolo. Palazzo a Mare, Villa Damecuta e Villa Jovis, sono collocate ad altezze differenti a formare una sorta di cordone che occupa le due estremità e la parte centrale dell’isola con una visuale completa del golfo di Napoli da Punta Campanella a Ischia.

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